Colore | Colori |
Distribuzione | Warner Entertainment |
Formato | Dvd |
Lingue | Inglese,Italiano |
Titolo originale | Dogville |
Vietato ai minori | Vietato ai minori di anni 14 |
3d | No |
Numero Supporti | 1 |
Anno di produzione | 2003 |
Nazione | DEU,DNK,FRA,ITA,NLD,NOR,SWE |
Formato video | Wide Screen |
Durata | 175 |
Formato audio | Dolby Digital 5.1 |
Collana | Easy Collection |
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DOGVILLE - DVD
E’ difficile, quasi impossibile giudicare un film come Dogville, il cui solo nome provoca già sensazioni contrastanti, ansie, timori. Ma è difficile giudicare l’intera opera di Lars Von Trier (“Dancer in the Dark”, “Idioti”, “Le onde del destino” etc.), con il regista danese entriamo nel regno dell’estremo dove personaggi e spettatori sono vittime create appositamente per torturare ed essere torturate, in una visione spietata, cinica, paralizzante della nostra società. Egli è profondamente geniale proprio quando diventa profondamente crudele, la sua rabbia, il suo nichilismo provocatorio danno fastidio, imprimono ai film un passo asfissiante ma nello stesso momento creano un’armonia filmica perfetta, la diabolica fusione tra grande Cinema e individualismo sfrenato. Brechtianamente diviso in nove capitoli e un prologo, il film è come un romanzo raccontato dalla voce di un narratore onnisciente. Forse sono gli strumenti linguistici di un nuovo corso, che il regista chiama 'cinema fusionale' (cinema+teatro+letteratura), perfettamente funzionali alla realizzazione di un'atroce, magnifica parabola sui rapporti sociali. Cinema-Teatro epico, come ribadisce il cartello dell'ultimo capitolo: “Qui finisce il film”. Dogville è una piccola cittadina americana degli anni ’30, dunque in piena Depressione, ai piedi delle Montagne Rocciose. L’unica curiosità è che in realtà non esiste, è solo una città disegnata sul palco di un teatro, che dall’alto (come ci viene proposta nella prima inquadratura del film) sembra una lavagna nera, in cui vediamo solo la sua mappa fatta di contorni disegnati con il gesso, di vie il cui nome è inciso per terra, le porte e le pareti sono solo immaginate (possiamo sentire i cigolii), un luogo dove tempo e spazio si annullano reciprocamente. Una vera e propria rappresentazione teatrale dove gli attori si muovono naturalmente in cerca di un’argomentazione plausibile, di un senso da dare a se stessi e conseguentemente alla trama del film. La storia inizialmente non ha luce, spiragli, non esistono vie d’uscita ne vie “d’entrata”, i pochissimi abitanti di Dogville sopravvivono ai loro pensieri, alle loro abitudini, s’impostano quotidianamente per dominare il proprio spazio che in fondo non esiste. Poi improvvisamente l’avvenimento che accende il film o perlomeno fa vibrare le pareti inesistenti; sulla scena, dal nulla, appare la splendida, dolce e indifesa Grace inseguita dai gangster, s’imbatte in Tom, giovane filosofo alla ricerca del pensiero e portavoce spirituale di Dogville, che la accoglie e la protegge. In cambio dovrà solo aiutare i lavori della comunità. Da qui in poi qualunque film avrebbe corso il rischio di sprofondare nel banale o nell’ inconsistente ma non un film di Von Trier che invece s’addentra perfettamente nel delirio; e proprio questa è la caratteristica delle visioni di Lars: dove sembra non esserci più dramma e storia lui reinventa, ricostruisce, riavvolge il gomitolo per liberarlo intricato d’idee. Grace è tutti noi...con lei si apre Dogville, i suoi occhi sono i nostri, con lei noi vogliamo scoprire quello spazio, quel paese buio, stretto eppure così colmo di mistero. La fiducia cieca di Grace è la nostra, cominciamo da spettatori a giudicare i personaggi, li scopriamo lentamente affezionandoci o odiandoli, Grace è il faro che illumina Dogville tutto il resto è pura indifferenza, la stessa che porta poco a poco tutti i buoni samaritani al delirio e alla cattiveria. Dopo un breve periodo sereno, improvvisamente tutto cambia e Grace da ospite diviene vittima di ogni abuso possibile, di ogni sospetto, viene continuamente stuprata e oppressa secondo la logica del profitto che sembra essere l’unica distorta divinità di Dogville. L’indifferenza è l’arma preferita del regista danese, tutto questo dolore non ci tocca ed anzi ci stimola, siamo Grace ma non ci sentiamo vicini a lei, non abbiamo spazio ma tentiamo continuamente di cercarne un altro, visivo. La parabola del sociale si perde nella logica di Trier e proprio in nome di tale logica gli abitanti del villaggio saranno puniti in maniera tremenda, quando la pura fanciulla deciderà di assumere il proprio ruolo sociale, passando dalle catene alla gola (Dogville-città dei cani) simbolo di totale repressione, al potere di eliminare le cose ritenute inutili, ovvero l’intera popolazione di Dogville; come se questo luogo fosse un Purgatorio incosciente dove la salvezza non è il Paradiso ma l’Inferno. Grace si rivela facendo affiorare per gradi tutta la sua ferocia: senza alcuna fretta si libera di Noi, della paura, delle convenzioni, di “Dogville”, del film stesso, per donarsi completamente ed esclusivamente al suo demoniaco creatore…Lars Von Trier.
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